Lo I.O.R. (che non è l’Istituto delle Opere Vaticane, ma una classe di barche…), gli anni Settanta, gli anni Ottanta (da bere!) e altre bazzecole consimili

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Capitolo II

Incontri com uomini eccezionali ovvero Elogio dell’Understatement, o in altre parole: Siccome tanto prima o poi devi sbattere il muso, (anche Muhammad Ali sbattè il muso sul tappeto!) è meglio che cadi dal gradino più basso che c’è! Paul Elvström così rispose al giornalista che gli chiedeva come avesse fatto a vincere così tanti titoli mondiali: Beh, forse è perché sbaglio un po’ meno degli altri (!!!).

Quando fantasticavo, a metà anni Settanta,  di vivere di vela non sapendo neanche cosa fosse davvero quell’isola che non c’era – come Peter Pan! – non avrei neanche potuto sognare che la scena velica potesse essere popolata da una schiera di personaggi che avevano dello straordinario e che io più tardi definì come “marinai storici”. Marinai in quanto marinai, storici in quanto hanno fatto davvero la storia della vela italiana, e per certi versi anche estera. Ai tempi di cui vado narrando non esisteva il professionismo diffuso di oggi: o uno era armatore, od ospite dell’armatore e quindi dilettante, appassionato amatoriale, oppure era un marinaio e quindi pagato. Non per niente in inglese per molto tempo i marinai erano chiamati paid hands. Quindi va da sé che chi andava in barca aveva come riferimento “di scuola” i marinai. Li appellavo prima con l’aggettivo eccezionali in quanto erano persone di una capacità strabiliante in tanti settori. Stavano in mare da dio, timonavano nelle condizioni più difficili – bonaccia e cattivo tempo[2] – in maniera incredibile, cucinavano come uno chef de rang, pitturavano le barche come verniciatori professionisti, facevano impiombature come il più abile dei rigger, tagliavano e cucivano le pelli come e meglio del tappezziere più provetto, e last but not least, il più delle volte erano delle sagome caratteriali viventi.

Non se ne può fare una classifica, né vogliamo né possiamo dire chi fosse il più bravo. La cosa ha scarsa o poca importanza. O perlomeno ci sa troppo di un concetto moderno e quindi da scartare, come quello delle Top Ten. Tutta la loro schiera faceva a gara chi fosse più bravo dell’altro. Uno su tutti però lo prenderemo a pietra miliare. E questo è  Angelo Vianello, de Il Moro di Venezia, di Raul Gardini. Un uomo troppo intelligente, di grande animo e di grande buon senso per il lavoro che faceva. Un uomo che avrebbe potuto fare tutto con successo, se avesse avuto diversi natali: così lo ebbe a definire Gian Luca Nanni Costa,[3] prodiere di punta dello IOR degli anni Ottanta, che trascorse molto tempo a bordo del Moro, anche in uno dei momenti clou della barca che fu il tremendo e tragico Fastnet del 1979. Erano momenti in cui si navigava davvero anche senza fare la Volvo Race. Non che oggi non lo si faccia. Ma le occasioni si sono diradate. Fa ridere un po’ che alla Maxi World Cup a Porto Cervo – ogni santo anno – chiamino regata lunga un’uscita che va dalla mattina alla sera corsa da barche a partire da 60’ in su, quando negli anni dello IOR con barchette da 40’ si andava con forza 8 a fare la lunga, 190 miglia, di cui la metà spesso e volentieri di bolina secca, Porto Cervo-Porquerolles-Porto Cervo!

Mi ricordo benissimo uno stizzito Nicola Sironi alla partenza di una di queste regate che gridava nel VHF contro l’ineffabile Comandante Alberini, che dall’Osservatorio del Cervo – a capo della giuria – ci stava dando la partenza in quell’inferno d’acqua e di vento: Ci avrete sulla coscienza! Per fortuna, non ci hanno avuto sulla loro coscienza! Sennò non saremmo qui a raccontare! Anche perché essere sulla coscienza di un Alberini non dovrebbe essere un bel sollazzo!

Il Moro I  di legno, tanto per citarne una, va – a metà anni Settanta – a fare le regate del SORC in America, a vela, attraversando l’oceano, in undici persone, con un bagno solo, un solo fornellino da campeggio per cucinare per tutto l’equipaggio, senza interni, solcando l’Atlantico senza Gps né Loran, ma carteggiando col sestante e il radiogoniometro quando possibile. Mike Birch tra di loro a far da navigatore.[4] Gardini aveva una tale stima di Angelo che – narra la leggenda – fece tanto da portarlo ad un consiglio di amministrazione della Montedison! E la cosa era ricambiata in toto. Angelo aveva letto I Miserabili di Victor Hugo (Hugo lo pronunciava accentato sulla u) ed era orgoglioso di dirtelo, ma subito ti confidava – onorato! – che glielo aveva prestato Sor Raul. Domenico Modugno cantava Marinai Donne e Guai. Ebbene Angelo ne incarnava in quale modo l’archetipo vivente. Soleva dire: Mi go avuto sempre le più bele done dei porti,  ma mi go sempre pagà! Quando vedeva una bella donna con delle gambe da favola, mormorava a denti stretti: Mmmhh, la gà una falcada… Ancora un quadretto perché merita. Middle Sea Race del 1979 del Rumegal, uno strabellissimo Frers di legno, 17 metri di legno che canta, della famiglia Gardini: Angelo apostrofa così Gian Luca che ha  le physique du role un po’ oxfordiano: Beo…ti ga gli oci da gato…ti se furbo…pausa lunga, guarda fisso il mare, poi d’improvviso lo fissa di nuovo e Ma ricordate! Mi e tu, in c…o a tuto il mondo…ma ti in c…o a mi, NO!

Scena 2.

Trasferimento Ravenna-Cowes, Isola di Wight, luglio 1979. Mare di Alboran. Angelo dorme, parte dell’equipaggio da trasferimento in coperta, in poppa, con quell’appartamento di 450 metri quadri di spi, grazie a vento e onda crescenti, planate a gò-gò, il timone a turno, chiamando i nodi di velocità ad alta voce. Otto! Nove! E via coi decimi. Uno di loro urla, in rapida sequenza Dieci! Undici! ecc. Compare di corsa Angelo da sotto e strappa il timone a chi lo teneva, urlando: Mainemo, musi da mona! Ammainiamo, delusi, l’appartamento. Però, tempo dieci minuti, dieci di numero, si ritrovano già con randa a tre mani e jib-top #4 a riva, increduli. Albero di Stearn, (parleremo anche di Tim Stearn nel prosieguo…) per allora un grissino, con centralina idraulica a cinque rubinetti colorati, era salvo.

Scena 2 bis.

Arrivo a Cowes, luglio 1979. Il Moro aveva da poco fatto capolino nel Solent che ecco Carlo Ferruzzi, il fotografo, venire all’accoglienza con il suo motoscafo/razzo. La sera Carlo porta l’equipaggio a mangiare qualcosa, poi in un pub,  estrae un libro nel quale raccoglie frasi scritte dai regatanti. Ne vuole una da Angelo che, quasi imbarazzato, si fa suggerire di scrivere una frase sugli abitanti di Cowes. Angelo guarda Gian Luca e gli chiede: Come se dise quando uno se palido, molto palido, che ti vedi che ghe manca le vitamine? Al che, Gian Luca gli risponde con una domanda, non capendo dove voglia andare a parare: Vuoi dire se uno ha l’avitaminosi? Angelo quasi esulta per lo scampato pericolo e dice: Sì, se quello! Come se dise? E Gian Luca di nuovo: Avitaminosi. Allora Angelo pronuncia il fatidico verdetto: Quei de Caos, i s’è piutosto brutini e avitaminosi. Aveva inventato un nuovo aggettivo…

Dalla seta alla lana! Così m’ha detto uno di noi quando gli confidai che ad Angelo sarebbe succeduto Jepson nel racconto. Beh..forse è vero, forse no. Il confronto tout court è impari, ed anche ingiusto. Dalla sua Jepson aveva il fatto che era una macchietta unica, irrepetibile e siccome la vita è fatta anche di risate, dobbiamo rendergliene merito assoluto! Questo il mio amarcord a caldo di lui.

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