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Foto_0Nella gerarchia delle resine termo-indurenti per la costruzione del composito in campo navale, subito dopo la famiglia delle epossidiche vi è quella delle vinilestere.

Questa classe di resine è spesso sconosciuta ai più ma per caratteristiche meccaniche, prezzo e utilizzo si pone esattamente tra le più nobili epossidiche e le classiche poliestere poiché riesce a mediare le qualità di lavorabilità delle poliestere con la robustezza e la resistenza chimica delle epossidiche. Per questo motivo le resine vinilestere sono utilizzate di rado nella stratificazione completa di manufatti in composito poiché l’attenzione dei costruttori si rivolge o verso una scelta di semplicità di utilizzo e riduzione dei costi, che impone l’utilizzo delle resine poliestere spesso in accoppiamento con tessuti di vetro, o verso la qualità assoluta che predilige l’utilizzo delle resine epossidiche eccellenti in accoppiamento con i tessuti in carbonio.

Chimica

Le vinilestere sono resine insature preparate per reazione di un acido monofunzionale non saturato del tipo acrilico o metacrilico con un bisfenolo diepossidico e in seguito mescolato con lo stirene che funge da solvente. La struttura chimica delle resine di questo tipo è simile a quella delle resine poliestere da cui differiscono principalmente per la posizione dei gruppi reattivi esteri i quali sono sistemati agli estremi della catena molecolare (Foto_1). Questa piccola ma fondamentale differenza è alla base della maggiore resistenza meccanica e della migliore elasticità delle resine vinilestere rispetto alle poliestere, maggiore di circa due volte, in quanto i carichi d’urto vengono assorbiti dall’intera catena molecolare la quale oltretutto è di una lunghezza maggiore di quella poliestere e resta inalterata anche dopo la polimerizzazione. L’eccellente resistenza agli urti diretti della catena vinilestere offre notevoli vantaggi anche sotto il punto di vista della resistenza alle sollecitazioni a fatica per flessione. Tali qualità indicano come questo tipo di resine si presti benissimo all’accoppiamento con le fibre aramidiche nella realizzazione di manufatti particolarmente esposti a urti o slamming come per esempio le imbarcazioni plananti da competizione o per utilizzo militare. Ogni onda, ogni salto causa inevitabilmente una piccola flessione del fasciame così come anche delle strutture che la maggior elasticità delle resine vinilestere provvede ad assorbire. Dal punto di vista chimico invece le resine vinilestere generano un’ottima adesione con i tessuti in fibra di vetro. Analizzando la catena polimerica delle vinilestere si nota come i gruppi esteri presenti agli estremi della catena molecolare, in un numero inferiore a quello delle resine poliestere, provvedano anche alla degradazione dell’acqua per effetto d’idrolisi. Ciò rende queste resine un’ottima barriera impermeabilizzante contro gli agenti chimici e contro l’azione corrosiva dell’acqua.

I plus tecnici e commerciali

Per questa ragione sempre più spesso nelle costruzioni navali i primi strati di tessuto successivi al gelcoat (skin coats) quindi quelli maggiormente esposti al contatto con l’acqua di mare sono stratificati con resine vinilestere e anche i gelcoat utilizzati sono con una matrice a base vinilestere. Questi accorgimenti consentono di conferire all’intero manufatto una maggiore resistenza a eventuali impatti con corpi esterni e soprattutto una maggiore impermeabilità qualora gli strati di laminato dovessero rimanere direttamente esposti all’acqua di mare, come per esempio in caso di urti dell’opera viva con corpi semi-sommersi ai quali consegue un distacco del gelcoat. Poiché un’imbarcazione è sempre soggetta per tutto il suo ciclo di vita al contatto con l’acqua, se non quella del mare quella dolce derivante da precipitazioni, umidità, o all’acqua di lavaggio con relativi agenti chimici detergenti più o meno aggressivi, sarebbe buona norma preferire l’utilizzo di vernici e resine a base vinilestere per qualsiasi macro-componente strutturale dell’imbarcazione comprendendo così oltre all’intero fasciame dello scafo anche quello di coperta e delle sovrastrutture. Le qualità di resistenza all’acqua delle vinilestere si apprezzano ancor più nell’eventualità in cui si debbano realizzare ripristini o riparazioni di zone dell’opera viva per le quali di norma si dovrebbe optare per l’utilizzo delle più costose resine epossidiche; per esempio nel caso di ripristini del laminato in seguito a urti o lesioni degli scafi. In particolare se questi ultimi avvengono al di sotto della linea di galleggiamento, la resina poliestere potrebbe non garantire un’adeguata e duratura azione impermeabilizzante degli strati esponendo così nel tempo l’intero manufatto al rischio di possibili fenomeni di osmosi. Ragion per cui in questo tipo di riparazioni, siano esse di valenza strutturale o estetica, è vivamente consigliato l’utilizzo di resine, stucchi e gelcoat con base vinilestere (Foto_1). Realizzare un’imbarcazione con questi materiali equivale a elevare, e non di poco, gli standard qualitativi dell’intera costruzione anche se di contro comporterebbe un aumento considerevole dei costi di produzione dell’imbarcazione, con una conseguente ripercussione sul prezzo di vendita della stessa. Questo fattore, nel caso di una materia prima dal prezzo non elevatissimo come le vinilestere, è da prendere in considerazione nella valutazione del rapporto costi/benefici del progetto. Se si sceglie di realizzare costruzioni con resine epossidiche è intrinseco pensare di voler prediligere la qualità senza badare troppo alle spese, viceversa se si sceglie una costruzione in poliestere si punta alla semplicità di costruzione e all’economicità del manufatto. Per quanto concerne le vinilestere, poiché si pongono perfettamente al centro oltre che dal punto di vista tecnico anche da quello economico la scelta è ancor più delicata poiché la maggiore qualità della resina è legata anche a un costo di acquisto maggiore che non è sempre facile da mettere a budget e giustificare all’utente finale, specie per le unità di piccola taglia o con un target economico medio-basso. È apprezzabile che sempre più costruttori, spesso per mere ragioni di marketing o perché semplicemente consapevoli della miglioria tecnica dei materiali utilizzati, decidano di voler puntare sulla qualità e quindi sull’utilizzo di resine vinilestere. D’altra parte la scelta di questa tecnologia, se correttamente messa in opera nelle fasi di lavorazione, consente di poter garantire i propri manufatti contro i fenomeni di osmosi per un periodo di tempo sicuramente maggiore di quello che mediamente s’ipotizza per un manufatto con resina poliestere, da cui deriva uno scatto di categoria per l’intera costruzione utile a giustificare un maggiore prezzo di acquisto.

La tecnica nell’utilizzo

La lavorabilità delle resine vinilestere è molto vicina a quella delle poliestere e analogamente a esse anche il processo di polimerizzazione avviene per una reazione a catena innescata da un agente catalizzatore che attiva e promuove la formazione dei legami tra i gruppi reagenti. È importante che il catalizzatore sia sempre correttamente dosato in base alle condizioni ambientali di lavorazione e alla quantità della resina da catalizzare per evitare tempi di catalisi della resina troppo rapidi o troppo lenti. Il rischio è di ottenere un manufatto inutilizzabile, nel caso in cui la quantità di catalizzatore sia stata sottostimata e quindi la catalisi non sia avvenuta o non sia avvenuta completamente; nel caso contrario il rischio è di ritrovarsi una grande quantità di resina catalizzata prima ancora di aver terminato la stratificazione con l’ovvio e conseguente danno economico. Anche nel processo di catalisi della vinilestere si genera una reazione esotermica che porta all’innalzamento della temperatura del manufatto che in certi casi può anche arrivare agli 80°C e un rilascio di vapori di stirene anche se in quantità maggiori rispetto alle resine poliestere. Per questi motivi nella stratificazione dei manufatti è bene essere sempre in ambienti con un frequente ricambio di aria climatizzata e proteggere correttamente le vie aeree dal contatto con i vapori chimici. Dal punto di vista dell’adesione e della compatibilità chimica e tra poliestere e vinilestere non sussiste alcun problema consentendo di sovrapporre strati impregnati con vinilestere direttamente su altri già catalizzati impregnati con poliestere e viceversa senza il rischio di successive delaminazioni. Come per le poliestere, le vinilestere possono essere utilizzate sia in laminazioni manuali (rullo, spruzzo, etc…) sia sotto vuoto senza particolari difficoltà, sebbene che come logica tecnica, chi sceglie di utilizzare le resine di maggior pregio come le vinilestere specie per la realizzazione di manufatti di grandi dimensioni, dovrebbe preferire la lavorazione sottovuoto per poter usufruire al massimo delle loro qualità meccaniche (Foto_2). Durante la lavorazione dei laminati in vinilestere, particolare attenzione va posta nel far si che la resa estetica delle superfici a vista non sia inficiata da imperfezioni dovute ai fenomeni di ritiro dimensionale durante la catalisi. Proprio la particolare composizione chimica di questo tipo di resine che le rende resistenti ed elastiche, potrebbe generare alcuni possibili inconvenienti di questo tipo che renderebbero necessarie lavorazioni di ripristino della finitura superficiale. È bene quindi cercare di rispettare quanto più possibile le ideali condizioni termiche e igrometriche durante la stratificazione del laminato per garantire la corretta catalisi e quindi la chiusura di quanti più legami chimici possibili ma soprattutto per essere sicuri che essa avvenga correttamente e in tempi adeguati.

Postcura

Seppure le vinilestere abbiano caratteristiche meccaniche notevolmente superiori rispetto alle poliestere per garantirne la massima performance è comunque consigliabile un trattamento di post cura. Come per le altre resine termoindurenti la post cura è effettuata mediante l’esposizione per un tempo determinato del manufatto a una temperatura elevata di oltre 50°C raggiunta tramite l’utilizzo di particolari forni. In questo processo con l’apporto di calore forzato si fornisce alle molecole dei reagenti l’energia necessaria per continuare il processo di catalisi fino alla chiusura di un numero di legami chimici quanto più grande possibile e sicuramente maggiore di quello che si otterrebbe con la catalisi alla temperatura ambiente utilizzata durante la lavorazione. Il maggior numero di legami chimici conferisce alla resina e quindi all’intero manufatto una maggior durezza e quindi una resistenza meccanica superiore che nel caso delle vinilestere migliora ancor più l’efficacia contro gli urti e la resa estetica del manufatto.

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