Eppure vorremmo che vi soffermaste sull’importanza dei clienti acquisiti e dei vostri sbocchi principali, normalmente italiani. Prendiamo alcuni dei dati statistici molto generali, che abbiamo trovato applicati per il mercato del charter internazionale, ma che sembrano prestarsi bene a qualsiasi settore o all’intero settore nautico, con le dovute cautele e parametri:
-ogni mese nel quale non contattate o comunicate con il vostro cliente, perdete il 10% della vostra influenza, soprattutto in un business replicabile e ripetitivo;
-in media ogni azienda perde il 50% dei suoi clienti ogni 5 anni. Il costo per rimpiazzarli può essere 6-7 volte superiore al mantenerli;
-un aumento del 5% nella fidelizzazione del cliente renderà un profitto netto a partire dal 20% in più. E’ molto più saggio investire nel mantenere che nell’acquisire un cliente;
-comunicare coi propri clienti (senza voler necessariamente vender loro qualcosa), aumenterà il vostro business del 15%.
Ora, si può essere o meno d’accordo con questa statistica e vorremmo conoscere la vostra esperienza o parere in merito per una corretta applicazione nella fornitura. Quanti clienti abituali avete? Ne avete diversi e alla pari o pochi e fondamentali, se non addirittura uno solo? Previsioni e incertezze a parte, allo stato attuale e storicamente quanta parte del vostro lavoro è in Italia o -in ogni caso- con clienti italiani?
Oggi abbiamo anche qualche esempio di investimento e di impresa positivo ad invertire almeno in parte una tendenza negativa: aprono alcuni cantieri nuovi, col giusto understatement e molti milioni si investono nel completamento di porti o in progetti ambiziosi. Ci riferiamo senza dare oggi ancora un giudizio per esempio al Cantiere delle Marche, al porto di Fiumicino (qui è Genova a non dormire) o all’affaire Bagnoli che si trascinava da 18 anni…
I clienti, gli amici, i sostenitori ci danno qualche segnale positivo, solo dispiace di come il nostro mercato nautico italiano dalla cronica mancanza di organizzazione/razionalizzazione e infrastrutture, debba soffrire per la mancanza di vera coesione. Di reale radicamento -non diciamo con un certo “territorio”- ma con la società intera, col costume italiano e quindi con la politica stessa, protagonista dell’immutabile incontro dicembrino con Ucina. Citiamo sovente la Francia come esempio da imitare soprattutto come forma mentale: la barca si usa davvero, piccola o media, viene considerata alla stregua di un’automobile, non è mantenuta per forza in modo maniacale perché simbolo di (finta) ascesa sociale, i porti sono tanti e insieme alla dovizia di servizi e infrastrutture, la gestione può non essere una roulette o un gravoso impegno economico, guardato con sospetto dal fisco. Quindi crisi o non crisi, là ci sarà sempre uno zoccolo duro di utenti a far girare il “circo nautico” mantenendo il mercato interno.