Lo I.O.R. (che non è l’Istituto delle Opere Vaticane, ma una classe di barche…), gli anni Settanta, gli anni Ottanta (da bere!) e altre bazzecole consimili

Lo IOR è l’acronimo di International Offshore Rule, un regolamento internazionale d’altomare, sorto fine anni Sessanta che fu un’evoluzione del CCA, Cruising Club of America e del britannico RORC, Royal Ocean Racing Club, che terminò il suo percorso verso il 1990, sostituito dall’IMS, International Measurement System. Tra i primissimi designers a sfornar progetti IOR ricordiamo Sparkman & Stephens e Dick Carter col suo Tina.[7] A me piace, in tema di IOR, molto rammentare una figura stranissima di progettista, un autentico outsider.

Mi riferisco a Giulio Cesare Carcano.

Questo perché il presente testo non ha velleità, come dire?, cosmopolite come va tanto di moda adesso, che se non parli del tuo Viaggio-attorno-al-mondo, à la Federico Rampini per intenderci, non sei nessuno. Difronte a tanta smania globalista vorrei che questo scritto fosse invece uno da strapaese, come si diceva una volta. Difronte a tanti nasi arricciati dei barba-papà di turno, vorrei che questo testo fosse nazional-popolare senza vergogna alcuna. E quindi propongo un sincero omaggio, quanto umile, ad un ingegnere milanese quasi del tutto ignorato dalle cronache auliche dello yacht digest mondiale ma che a mio modestissimo parere ebbe intuizioni degne di quelle di Bruce Farr. Carcano era un genio italico di stile rinascimentale. Fu difatto un vero e proprio eclettico di estremo talento. Suoi sono i progetti di alcune delle più belle moto della Moto Guzzi. Suo è il progetto di uno scalmo per il canottaggio di incredibile innovazione. E poi le sue barche con i nomi ad iniziare con la V. Vihuela di Mario Violati, anche lui progettista, Vanilla, Villanella (vincitrice della Two Ton Cup a Sanremo nel 1971), Vanessa, Viola e Vinca.[8] Barche larghissime per l’epoca, con il dritto di prua quasi a piombo come quello dell’IMS di decenni dopo, e poppa chiattona, a motoscafo, tronca. Vi ricorda qualcuno a nome Bruce Farr? Suppongo che a Carcano gli sia mancato quell’anello di congiunzione che porta un grande progetto ad essere un grandissimo oggetto se costruito da un iperbolico costruttore quale fu Cookson per Farr.

Capitolo III

Totò: Sono più turco di un turco! Ho anche gli occhi turchini! Ovverossia anche nelle situazioni più seriose, quelle in cui si “investono” fior fiore di quattrini per ottenere dei – si spera – lusinghieri risultati agonistici vengono fuori intermezzi da sbellicar dal ridere! Uno di queste situazioni fu l’esordio di Francesco De Angelis – in arte Barone – nelle barche grosse, e quindi nelle regate lunghe. Il soprannome gli era stato appioppato per via del suo portamento che sapeva di regale, non perché fosse altezzoso, ma in quanto esprimeva una sua eleganza d’emblée. Ebbene all’esordio in mezzo a noi del Brava, alla prima One Ton Cup con il rating IOR di 30.5, a Trinité sur Mer, nel nord della Francia, un’accolita di figuri degni dell’Armata Brancaleone dipinta dal film di Vittorio Gassman, avvenne subito il….battesimo a luci rosse! Il capo-popolo nostrano non poteva essere che Daniele Gabrielli, un romano di estrazione…d’Avanguardia Operaia!…che militando nella fila delle Ferrovie Statali aveva trovato il modo di baby-pre-pensionarsi, per così dire, in seno al Mucchio Selvaggio di Azzurra, galvanizzato dal super mitico Cino Ricci a Newport del 1983. Daniele era una specie di Rasputin reincarnato nel milieu velico. Per svezzare di primo acchito a suon di terapia shock, il neofita ed altero De Angelis fu approcciato subito da Daniele/Rasputin chiedendogli a bruciapelo, e strofinandogli il suo barbone ispido sulla linda faccina di Francesco, se avesse mai praticato il cunnilingus! Ora sappiamo tutti che tale manovra velica – il cunnilingus appunto – richiede particolari doti vocali…ed al  povero Francesco non restò che ritirarsi, rosso come un peperone, sotto coperta, e rimanervi per il resto della regata.

Non si creda che questo scenario sia stato un’eccezione.

Tutt’altro.

Le gag à la Buster Keaton, come quella raccontata, erano all’ordine del giorno, quasi una normalità. Non sono solo io a ricordare un pezzo classico, un evergreen,  di Jepson che, sempre in tema di donne, di cui fui testimone nella piazzetta di Capri durante un Campionato italiano. Me ne stavo seduto, al bar, a sorbirmi – felice – un Negroni quando vedo (difficile non vederla! l’avrebbe notata anche San Francesco d’Assisi in tutta la sua santità!!) solcare la piazzetta la moglie di un proprietario di cantiere che stava regatando allora. La Signora, bisogna dire, che si lasciava guardare: era una sorta di Bellucci ante litteram. Non esagero. Ebbene, tempo un minuto secondo, ed ecco planare sulla medesima, a larghi centri concentrici, Jepson. Mi accingo a gustare la scenetta. Dopo un tot di giri di avvicinamento ecco Jepson cacciar un urlo!: Famme male! Famme male! Da allora il Famme male! Famme male! è rimasto un suggello per significare il passaggio di una Gran Bella Dama.